Pietro Banchini

Dottor Pietro Banchini

Il calcio è uno degli sport più popolari al mondo e richiede al giocatore una adeguata preparazione fisica per eseguire scatti, salti, contrasti, rapidi cambi di direzione e calciare. Essendo uno sport di contatto è associato ad un importante rischio di infortuni sia acuti che di conseguenza cronici e prevalentemente, agli arti inferiori e spesso è interessata l’articolazione del ginocchio. Il numero di infortuni del calcio, si è visto che aumenta all’aumentare dell’età dell’atleta, all’aumentare dell’intensità e della velocità di gioco (1), all’aumentare della frequenza ed al numero delle gare ed in base al livello di preparazione e di categoria. L’incidenza è però molto più bassa negli atleti adolescenti. 

Durante le partite, si hanno la maggior parte delle lesioni legamentose del ginocchio e, valutando LCA, il 58% delle lesioni sono dovute a traumi da non contatto (2) e la maggior parte avviene all’arto in appoggio (3). La percentuale di infortuni ai legamenti del ginocchio è però diminuita negli ultimi 11 anni, anche se, la percentuale di infortuni gravi rimane comunque moto alta (4). Le modifiche del numero di infortuni nei giocatori top-level, potrebbe dunque essere influenzato dallo stile di gioco, dal comportamento arbitrale, numero ed intensità delle partite. Rimane fondamentale la stretta applicazione delle regole di correttezza di gioco come importante fattore preventivo (5).

Il ginocchio è un’articolazione molto complessa dal punto di vista anatomico e biomeccanico. Le lesioni che si possono avere sono quindi molteplici e vanno dalla semplice lesione di una struttura legamentosa periferica, alle lesioni legamentose multiple che necessitano di una chirurgia altamente specialistica e difficoltosa con recuperi lunghi ed impegnativi. Nei casi più gravi, non sempre è possibile il rientro allo stesso livello agonistico pre infortunio. La patologia traumatica legamentosa del ginocchio causa quindi una lunga assenza dal campo e spesso, è complicata da re infortuni e possibile successiva complicazione in lesioni condrali evolutive.

Il legamento collaterale mediale del ginocchio (LCM) è il legamento interessato più frequentemente nei traumi al ginocchio con diverse gravità di lesione, sia acute che croniche, che vanno dal 1° al 3°. In quest’ultimo stadio il LCM è spesso associato a lesioni di altre strutture del ginocchio. Risulta quindi fondamentale una corretta ed immediata valutazione dell’atleta per definire la gravità della lesione e l’eventuale trattamento chirurgico. La Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), può darci informazioni che non sempre possono risultare chiare all’esame obiettivo (6). 

Le lesioni acute isolate di 1° e 2° del LCM sono quasi tutte trattate in maniera conservativa con terapia fisica e farmacologica, iniziale utilizzo di tutore articolato, stampelle e carico concesso secondo la tolleranza del dolore. Si inizia subito il trattamento riabilitativo con esercizi e recupero del ROM. La maggior parte delle lesioni di 3° può anch’essa essere trattata conservativamente se isolata e nel caso in cui vi sia un allineamento del ginocchio neutro o varo. Nel caso in cui vi sia un allineamento valgo, il ribaltamento del LCM al di sopra della zampa d’oca (Fig 1) o l’avulsione ossea, bisogna procedere con la riparazione in acuto (7-8). Il trattamento delle lesioni di 2°/3° associate alla lesione del LCA è controverso.

In alcuni casi è possibile che la lesione trattata conservativamente lasci postumi dolorosi. Uno studio ha evidenziato che questo tipo di lesione, se non guarita a livello dell’inserzione femorale veniva trattata chirurgicamente e gli atleti erano però tornati a giocare anche se dopo un lungo periodo di recupero (9). In altri casi in cui vi è persistenza di sintomatologia dolorosa, può essere sufficiente l’infiltrazione eco guidata in sede di dolore, di cortisonico e anestetico con ripresa immediata dell’attività sportiva (10).

Una ulteriore possibilità di trattamento delle lesioni di 3° può essere l’utilizzo di ripetute infiltrazioni locali di PRP con ripresa dell’attività agonistica a 25 giorni dall’infortunio (11). 

In media, le lesioni del LCM interrompono l’attività del giocatore per 23 giorni, se non trattate chirurgicamente, anche se nell’ultima decade si è notata una riduzione significativa degli interessamenti traumatici del LCM (12). 

Il legamento collaterale laterale (LCL), è raramente una lesione isolata di 3°, ma si associa generalmente a lesioni postero/postero-laterali e solo in questi casi si deve intervenire chirurgicamente con la riparazione dello stesso, del pivot centrale e delle strutture postero laterali. In letteratura esistono pochi dati sul trattamento delle lesioni isolate di 3° del LCL negli atleti top-level ed i risultati del trattamento conservativo o chirurgico delle lesioni di 3° documentate con RMN risultano sovrapponibili anche se con tempi di recupero più rapidi nel caso delle lesioni trattate conservativamente (13).

Il calcio è lo sport che presenta il più alto rischio di lesione del legamento crociato anteriore (LCA) rispetto a tutti gli altri sport. Le azioni di gioco in cui la lesione avviene senza contatto, comprendono: cambi di direzione improvvisi associati a decelerazione, atterraggio dal salto con la gamba in completa estensione, torsioni del ginocchio in estensione con il piede a terra, decelerazioni con estensione e rotazione interna del ginocchio associata ad una forza dinamica in valgo stress con il peso del corpo spostato sulla gamba in appoggio con la pianta del piede fissata a piatto al suolo. Fattori predisponenti alla lesione del LCA possono essere: una lassità legamentosa generale e specifica delle ginocchia, una stretta gola intercondiloidea, una riduzione della forza e del reclutamento degli hamstring in rapporto al quadricipite, affaticamento muscolare, gli angoli di flessione dell’anca e del ginocchio, spostamento laterale del busto con adduzione dell’anca associate a aumentato momento abduttorio del ginocchio (valgo stress dinamico), aumentata rotazione interna dell’anca e rotazione esterna tibiale con o senza pronazione del piede. Le lesioni in abduzione dell’anca e adduzione della gamba con conseguente lesione postero laterale sono meno frequenti. Questi tipi di meccanismi traumatici, favoriscono l’interessamento sia del LCA che di altre strutture del ginocchio, in particolare possiamo avere lesioni associate di 2°/3° del LCM. Nei casi meno gravi possiamo però avere solo lesioni parziali isolate del LCA.

Il trattamento delle lesioni combinate del LCA e LCM di 2°/3° è ancora dibattuto in letteratura. E’ possibile ritardare la ricostruzione del LCA di 3-4 settimane lasciando guarire LCM in modo conservativo. Se persistesse instabilità al valgo stress, si procede a ricostruzione secondaria di LCM. Si può ricostruire LCA in acuto, lasciando guarire conservativamente LCM. La nostra scelta personale, nel caso di calciatori di alto livello, è quella di ricostruire in acuto LCA e riparare, quando è possibile, tutte le strutture danneggiate in un tempo unico, in modo tale da ottenere una stabilità ottimale del ginocchio e non dover ricorrere a interventi secondari di ricostruzione del compartimento mediale. Questo per concedere la ripresa dell’attività agonistica nel minor tempo possibile. 

Shelbourne, già nel 1995 (14), riservava poco spazio al trattamento chirurgico delle lesioni periferiche, riservandolo solo alle lesioni associate di 3° del comparto mediale.

Le lesioni parziali del LCA si riscontrano in una percentuale variabile dal 10 al 27% delle lesioni isolate del LCA (15). Con i recenti studi sulla ricostruzione a doppio fascio del LCA sono state studiate ed introdotte nuove tecniche di ricostruzione di un singolo fascio del LCA (augmentation), sia per il fascio anteromediale (AM) che stabilizza la lassità in antero posteriore, che per il fascio posterolaterale (PL) che stabilizza la lassità rotatoria. La possibilità di preservare i meccanocettori e quindi la propiocettività intrinseca del ginocchio e la vascolarizzazione del residuo del LCA, si pensa che possa dare benefici biologici sul trapianto (16). Questa tecnica chirurgica è molto incoraggiante, ma mancano ancora evidenze scientifiche per utilizzarla di routine (17). Lo studio di Abat sul trattamento delle lesioni parziali del LCA riporta però eccellenti risultati a 2,5 anni di follow up con una bassissima percentuale di complicazioni ed un completo ritorno al livello di attività precedente l’infortunio (18).

Rimane il fatto che la diagnosi di lesione parziale del LCA sia comunque estremamente difficile e la valutazione artroscopica rimane la più affidabile dal punto di vista diagnostico.

Un altro trattamento possibile per le lesioni parziali del LCA è quello della healing response secondo il protocollo proposto da Steadman con PRP. Non c’è però alcuna evidenza scientifica che ne giustifichi l’uso nella chirurgia riparativa e ricostruttiva del LCA (19). Anche noi siamo allineati con la letteratura e non effettuiamo infiltazioni con PRP soprattutto nei calciatori perché altri studi hanno dimostrato un’incidenza di fallimento e di reintervento del 36% (20).

I gravi traumi in acuto, presentano un difficile approccio diagnostico terapeutico per diversi aspetti e potrebbe essere necessario ripetere l’esame nei 2/3 giorni successivi per le condizioni di rigidità dell’arto, di dolore e di tumefazione. La diagnosi che può risultare complessa e di difficile interpretazione anche a livello di imaging (Fig. 2) ed inoltre gli interessi economico-sportivo che ruotano intorno all’atleta, possono giocare un ruolo importante nel timing chirurgico.

E’ quindi di fondamentale importanza la gestione del dolore, del gonfiore, del mantenimento di un buon ROM ed il reclutamento muscolare nell’immediato post infortunio (21), per poter intervenire nei tempi più rapidi possibili riducendo al minimo le eventuali complicanze post chirurgiche (rigidità ed artrofibrosi) che ritarderebbero il recupero dell’atleta.

La chirurgia in acuto rappresenta perciò, a nostro giudizio, la prima scelta di trattamento negli atelti top-level. E’ noto infatti, che la riparazione delle strutture periferiche è ottimale entro i primi 15 giorni altrimenti bisogna ricostruire. Le strutture mediali che possiamo riparare in acuto sono: legamento posteriore obliquo (POL) e capsula articolare, legamenti menisco tibiali e menisco femorali e del LCM sia del fascio superficiale che profondo se vicino all’inserzione ossea con ancorette. Le strutture laterali comprendono: avulsione al femore del LCL e del tendine popliteo(TP) (evenienza molto rara e riparata con ancoretta), avulsione alla tibia o al femore della capsula articolare, avulsione al perone del LCL, del tendine bicipitale (TB) e del legamento popliteo fibulare (LPF). La riparazione è diretta di tutte le strutture se possibile mediante sutura, altrimenti con ancorette metalliche. La riparazione deve avvenire partendo dalle strutture più profonde per terminare con quelle più superficiali.

Le lesioni del pivot centrale vengono sempre ricostruite in acuto. La nostra filosofia di ricostruzione del LCA per il calciatore prevede l’utilizzo del tendine rotuleo (TR) come trapianto di prima scelta nel caso di lesione isolata e di lesioni associate. Intervenendo con riparazioni in acuto, non abbiamo mai avuto necessità di allograft per le riparazioni periferiche. L’unica controindicazione all’utilizzo del TR come trapianto, è la presenza di tendinopatia cronica dello stesso. Per noi non rappresenta una condizione sfavorevole gli esiti di una apofisite tibiale anteriore. 

Il prelievo viene effettuato in maniera tradizionale dal 3° medio del TR con bratta ossea rotulea e tibiale. Quest’ultima viene prelevata però con una parte aggiuntiva di osso tibiale così che il tunnel tibiale sia colmato dalla parte ossea della bratta e la fissazione avvenga il più vicino possibile all’articolazione. La plastica della gola, viene effettuata solo nei casi di gole molte strette. Nella maggior parte dei casi quindi, ci limitiamo ad una pulizia dei residui femorali del LCA. Per primo si esegue il tunnel femorale con tecnica OUT-IN e guida dedicata. Il posizionamento del tunnel deve essere il più possibile vicino al bordo cartilagineo ed a livello del foot print del LCA nativo a metà tra il fascio antero mediale e quello postero laterale. Si esegue il tunnel tibiale anch’esso con tecnica OUT-IN a livello del centro del foot print tibiale ed il trapianto viene fissato al femore con vite ad interferenza riassorbibile ed alla tibia con vite ad interferenza metallica con il ginocchio flesso a 10°.

Nel caso in cui non si possa utilizzare il TR, utilizziamo il tendine semitendinoso (ST) triplicato (per evitare di ridurre la forza esplosiva degli hamstring), che viene fissato al femore con fissazione a sospensione e vite ad interferenza riassorbibile creando una bratta ossea accessoria vicino al tunnel per aumentare la stabilità, ridurre l’effetto widening, ottenere una fissazione il più possibile vicino all articolazione ed avere contatto tendine-osso a 360°. La fissazione tibiale la effettuiamo con vite ad interferenza riassorbibile ed eventuale cambra metallica o fili non riassorbibili annodati su vite passiva.

Il legamento crociato posteriore (LCP) viene ricostruito solo nel caso di lesioni di terzo grado o di secondo se associato a lesioni periferiche. In questo caso, il nostro trpianto di scelta è il ST associato al tendine gracile (GR). Preferiamo l’uso degli hamstring rispetto al TR per evitare di indebolire il quadricipite durante la fase riabilitativa ed inoltre perché ci permettono un più facile passaggio intrarticolare soprattutto quando si mantengano intatti i tessuti cicatriziali del LCP. La nostra tecnica prevede l’esecuzione del tunnel femorale a mano libera da un portale accessorio antero laterale inferiore e del tunnel tibiale con guida dedicata supportata dall’utilizzo di strumenti a specchio dall’accesso postero mediale (Fig. 3), per il controllo dell’inserzione tibiale del LCP. Con questo strumentario, non è più necessario utilizzare l’ottica a 70°. Non rimuoviamo mai i tessuti cicatriziali del LCP residuo e creiamo una “finestra” per il passaggio del neo legamento tra LCA ed il residuo del LCP. Il trapianto viene fissato al femore con sistema a sospensione e vite ad interferenza riassorbibile posizionata dal portale antero laterale inferiore. Alla tibia viene fissato con bottone metallico e fili non riassorbibili con la gamba in cassetto anteriore a 70 ° di flessione. Talora associamo anche alla tibia vite ad interferenza riassorbibile. 

La riparazione del comparto mediale la effettuiamo con accesso longitudinale prossimale o distale mirato sulla sede della lesione. La lesione del POL viene riparata attraverso un accesso postero mediale prossimale mediante ancoretta a livello del condilo femorale vicino e posteriormente all’inserzione del LCM, fissato a 10° di flessione. In alternativa, dall’accesso postero mediale attraverso una cannula dedicata, è possibile un ritensionamento del POL con filo PDS. Lo stesso accesso artrotomico viene utilizzato per la riparazione del LCM con ancoretta all’inserzione prossimale e ginocchio flesso a 40°. Attraverso lo stesso accesso distalizzato, possiamo riparare le lesioni dei legamenti menisco tibiali con ancoretta alla tibia (Fig 4). Un’ancoretta può essere posizionata anche più posteriormente per via artroscopia con cannula postero mediale sempre per le lesioni dei legamenti menisco tibiali (Fig 5)o, nel caso di disinserzioni menisco capsulari del corno posteriore del menisco interno, dallo stesso accesso artroscopico si possono riparare con sutura all inside. E’ possibile la riparazione del LCM all’inserzione tibiale attraverso accesso longitudinale elettivo.

La riparazione del comparto laterale si esegue attraverso il duplice accesso attraverso le fibre del tensore della fascia lata (TFL) e tra quest’ultimo ed il bicipite femorale (Fig. 6). Questo accesso risulta più complesso di quello mediale proprio per la presenza del TFL a livello superficiale. Si deve incidere longitudinalmente lungo la direzione delle fibre il TFL per visualizzare e riparare le lesioni prossimali a livello del femore. L’accesso tra TFL e bicipite femorale si userà per le lesioni articolari e quelle a livello della testa del perone. Solo raramente si utilizza un 3° accesso al di sotto del bicipite femorale per isolare il nervo sciatico popliteo esterno. Anche in questo caso è consigliabile la riparazione con ancorette. Bisogna fissare sempre le avulsioni della testa peroneale e ripristinare l’inserzione del bicipite femorale e del LCL. Se risultasse una lesione del tendine popliteo (TP) bisogna riparare anche questo eseguendo eventualmente una tenodesi nel caso non fosse presente una lesione favorevole da avulsione a livello femorale.

Concludendo, la nostra prima scelta per il tipo di trapianto per la ricostruzione del LCA è il TR.

Il nostro atteggiamento chirurgico è quello di eseguire l’intervento nelle prime 2 settimane dopo il trauma quando si è recuperato un accettabile arco di movimento. Questo ci permette di riparare, quando possibile, le strutture legamentose periferiche eventualmente associate.

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