Pietro Banchini

Dottor Pietro Banchini

EPIDEMIOLOGIA DELLE LESIONI 

I traumi al ginocchio nel rugby sono un evento molto frequente anche se non sono il distretto anatomico più colpito ( 1 2 3 4 5 6 7 8). 

Analizzando la letteratura scientifica, risulta che gli infortuni al ginocchio sono il 12%-15% degli infortuni totali di una squadra di rugby professionistica (9).

Il numero dei traumi al ginocchio aumenta con l’aumentare del livello agonistico praticato. 

Così, nelle partite internazionali, come il Torneo delle 6 Nazioni o durante la World Cup di rugby, si riscontra una maggior incidenza di traumi al ginocchio rispetto alle partite del campionato (10 11). 

Nel rugby professionistico, come nel rugby amatoriale, i traumi al ginocchio causano però il maggior numero di giorni di assenza dagli allenamenti e/o dalle partite, in quanto sono spesso lesioni severe (con oltre 30 gg di prognosi) (3 12 13). 

La maggior parte degli infortuni avviene in partita rispetto agli allenamenti (3 10 12). 

L’incidenza delle lesioni al ginocchio nel rugby professionistico viene espressa in 1000 ore di esposizione. Durante la partita l’incidenza è di 11 infortuni per 1000 ore, mentre è di 0,16 infortuni per 1000 ore di allenamento (12). Questo dato conferma che il contatto è il principale meccanismo d’azione dei traumi al ginocchio nel rugby. Negli allenamenti infatti, pur cercando di riprodurre la massima intensità possibile, si tende a ridurre al massimo le fasi di contatto. 

Essere placcati risulta essere il traumatismo più pericoloso per il ginocchio del rugbysta. Il classico placcaggio laterale che determina uno stress in valgo è il meccanismo d’azione lesivo più frequente (40%) (Foto 1)., la mischia aperta (rucks) (11%) e durante il sostegno del portatore di palla (mauls) (11%) (19 20).

I trequarti sono i giocatori più colpiti dagli infortuni al ginocchio in quanto vengono placcati in piena velocità e mentre eseguono cambi di direzioni repentini (Foto 2), circostanza questa che avviene molto meno frequentemente ai giocatori di mischia (10 13).

L’infortunio più frequente è la lesione del legamento collaterale mediale ( LCM) (Tab.1), quello più severo invece, in quanto determina il maggior numero di giorni di assenza dal campo, è la lesione del legamento crociato anteriore ( LCA) associata o meno a lesioni periferiche, per il quale bisogna ricorrere alla chirurgia riparativa (10 12 13) a differenza delle lesioni del LCP che, non sempre associate a lesioni periferiche, possono essere trattate conservativamente. 

TABELLA 1 La lesione di LCA determina il maggior n. di giorni di assenza dal campo

Categoria infortuni Numero di infortuni Giorni di assenza

Infortuni LCA Infortuni LCM LCP/angolo postero laterale Lesioni meniscali/condraliPatello femorale/apparato estensore Altri infortuni minori96119392657255322941349

Da questa analisi sommaria si evidenzia il significativo impatto che le lesioni al ginocchio possono avere nell’economia di un team di alto livello. Inoltre tali lesioni sono risultate essere quelle che più a lungo hanno tenuto lontano dal campo l’atleta infortunato e quelle che hanno richiesto prolungati trattamenti fisioterapici. In particolare le lesioni capsulo legamentose dei collaterali (50% del totale) o del crociato (25%) hanno creato un assenza dell’atleta da 4 a 7 mesi, mentre le lesioni meniscali (25%) hanno richiesto uno stop inferiore a 3 settimane.

Nel rugby professionistico si sono individuati altri due fattori di rischio, la fatica e la perdita della capacità coordinativa neuromuscolare durante le ultime fasi della partita. Negli ultimi venti minuti di gioco infatti avvengono la maggior parte degli infortuni al ginocchio (10 23), infatti, circa più del 75% delle distorsioni del ginocchio con rottura del legamento crociato anteriore avvengono nell’ultimo terzo di partita. L’allenamento specifico dovrebbe quindi riportare il giocatore a un livello atletico tale da poter sopportare i carichi di una intera partita. 

Un altro esempio di possibilità di traumi al ginocchio lo hanno dimostrato Horsley e colleghi (21): una SLAP lesion o una instabilità anteriore di spalla, anche se non tali da giustificare un intervento chirurgico, portano al cambiamento della tecnica di placcaggio, con alterati schemi motori ed attivazioni muscolari. Tutto questo può esporre il giocatore ad una maggiore incidenza di infortuni, anche a carico degli arti inferiori. Un altro esempio è dato dalla limitazione del range di movimento del rachide cervicale dei rugbysti in seguito ad una precoce degenerazione del tratto vertebrale cervicale; nel gioco si traduce in un ridotto campo visivo. La conseguenza di ciò è la possibile incapacità da parte del giocatore di rendersi conto di un avversario che lo sta placcando venendo dall’esterno del campo visivo. Il giocatore placcato non avrà la possibilità di attivare un meccanismo anticipatorio (feed-forward) in risposta al placcaggio in arrivo, esponendosi a rischi maggiori di infortunio (22).

Risulta quindi fondamentale proseguire con studi epidemiologici nel rugby professionistico ed amatoriale, in modo da avere più chiaro i fattori di rischio e i meccanismi d’azione dei traumi al ginocchio. In questo modo potremo sviluppare nuovi programmi di prevenzione che sono già in uso e si basano sul miglioramento della capacità aerobica del giocatore, sulla forza, sulle capacità coordinative migliorando la biomeccanica del gesto atletico specifico dell’atleta (16 17 22 23).

Infine questi dati epidemiologici, presi dalla letteratura internazionale, sono praticamente sovrapponibili ai dati che abbiamo raccolto dal 2010 ad oggi con squadre di rugby professionistiche italiane (Aironi Rugby- Zebre Rugby).

LA RIPRESA DEL GESTO ATLETICO

Profilo neuromuscolare del rugbysta 

I giocatori di rugby sono diversificati in termini di componenti fisiche sulla base del ruolo ricoperto in campo (VO2max, soglia anaerobica, forza, composizione corporea, velocità massima e potenza) (25 26). Tra queste, la potenza espressa è la componente fisica che può differenziare i giocatori di rugby di alto livello dai giocatori di medio/basso livello (27 28). In effetti, la natura stessa del rugby richiede grandi potenze muscolari durante i placcaggi effettuati e subiti, rimesse laterali, mauls , mischie e raggruppamenti nel tentativo di mantenere o recuperare il pallone (26 28 29). I giocatori di mischia sviluppano picchi di potenza maggiore; normalizzando questi dati per il peso corporeo risulta però, che i giocatori della linea arretrata mostrano una potenza media maggiore (26 30). Analizzando la potenza sviluppata con i Vertical Jump Tests (31), esiste una correlazione positiva tra la forza espressa dal quadricipite al test isocinetico (32), la forza espressa in mischia (33) e la velocità massima raggiunta durante le accelerazioni. Infine, durante i cambi di direzione rapidi ed atterraggi, il quadricipite può sviluppare picchi di forza oltre il 150% della forza espressa durante una massima contrazione volontaria eseguita in ambiente controllato (34). Da ciò possiamo ricavare l’importanza del recupero della forza espressa dal quadricipite nel percorso riabilitativo. La forza generata dal quadricipite comunque è solo uno dei requisiti per lo sviluppo di potenza da parte dell’atleta. Analisi biomeccaniche hanno dimostrato l’importanza delle attivazioni di tutti i gruppi muscolari dell’arto inferiore con uno schema prossimo-distale ed il trasferimento di energia attraverso i muscoli biarticolari nella generazione di alti picchi di potenza (35 36 37). Anche la stabilità ed il controllo lombo-pelvico (conosciuto come core-stability) può rivestire un ruolo nella funzionalità dell’arto inferiore (38), anche se in letteratura esistono pareri discordanti (39). Non si può, quindi, affermare che la potenza di un giocatore di rugby sia legata a poche variabili, ma bisogna soprattutto considerare la funzionalità neuromuscolare. Un infortunio al ginocchio può alterare sia le singole variabili sia la coordinazione neuromuscolare, impedendo al giocatore di esprimere le proprie potenzialità (40).

Allenamento forza specifico/neuromuscolare

La forza espressa dal gruppo muscolare quadricipitale è da sempre identificata come uno dei fattori maggiormente importanti nella funzionalità e nella ripresa del gesto atletico sul lungo periodo in caso di infortunio al ginocchio (40). In effetti circa il 70% della variabilità del Cincinnati Knee Score, un test di autovalutazione del ginocchio in seguito ad infortunio, può essere legato alla forza espressa dal quadricipite (41). L’insieme di questi fattori supporta il ruolo primario del recupero della forza espressa dal quadricipite, elevandolo ad obiettivo fondamentale nel percorso riabilitativo di un rugbysta conseguentemente ad infortunio al ginocchio. Le strategie per ottenere ciò sono molteplici e sono state largamente studiate in letteratura. I protocolli più utilizzati prevedono l’esecuzione di esercizi in Catena Cinetica Aperta (CCA), Catena Cinetica Chiusa (CCC) e l’utilizzo dell’apparecchiatura isocinetica. I risultati migliori si ottengono dalla combinazione di queste tre metodologie (41).

Dalla posizione accosciata tipica della mischia del rugby, se da un punto di vista di prestazione la forza espressa dal quadricipite è determinante, da un altro punto di vista racchiude in se un potenziale meccanismo di infortunio soprattutto a carico del legamento crociato anteriore. Alcuni studi cinematici hanno rivelato che, proprio da questa posizione, una forte contrazione del quadricipite può causare uno scivolamento anteriore della tibia, stressando il legamento (42 43). Questo stress diventa potenzialmente nocivo soprattutto dopo un intervento di ricostruzione del legamento stesso. In questo caso è fondamentale l’intervento del gruppo muscolare degli hamstring, nel limitare lo scivolamento anteriore della tibia e ridurre lo stress sul legamento crociato anteriore (44 45). Dall’allenamento separato dei diversi gruppi muscolari, l’attenzione si è spostata verso il riallenamento neuromuscolare/propriocettivo. Alcuni studi neurofisiologici recenti dimostrano che questi differenti approcci non dovrebbero essere considerati come entità separate ma come fattori strettamente connessi nel recupero della piena funzionalità del ginocchio (46 47 48). La funzione neuromuscolare risulta alterata in seguito ad infortuni al ginocchio (49 50); infatti il riallenamento neuromusculare è un altro fattore estremamente importante nel determinare l’esito della riabilitazione ed è attualmente considerato in tutti i protocolli suggeriti in letteratura (40 50). Il rinforzo selettivo e il riallenamento neuromuscolare/propriocettivo sono le pietre angolari del percorso riabilitativo (51). La letteratura scientifica specifica fornisce la correlazione fisiologica tra queste metodologie di allenamento e l’esito funzionale (40 50). L’allenamento neuromuscolare, con l’utilizzo di esercizi funzionali, superfici di appoggio differenti e basi instabili ha la potenzialità di indurre le compensazioni necessarie per migliorare il controllo dei movimenti articolari durante le varie attività (52). Una risposta inefficiente o ritardata del sistema neuromuscolare può indurre ricorrenti episodi di sublussazione dell’articolazione e quindi di instabilità dinamica, impedendo il recupero dell’attività sportiva (40).

In conclusione, il recupero della forza, in particolare di quadricipite e hamstring, ed il riallenamento neuromuscolare/propriocettivo sono cruciali nel percorso riabilitativo. Bisogna sottolineare che ognuna di queste metodologie, così come ogni esercizio proposto, stressa le componenti articolari in modi diversi. L’utilizzo di queste tecniche deve essere concordato dal team multidisciplinare, in modo da non interferire con il processo biologico di guarigione dei tessuti in base alla conoscenza della biomeccanica e della fisiologia dell’esercizio. 

IL RIENTRO IN SQUADRA

Dal punto di vista ortopedico lo stabilire il momento della ripresa della normale attività sportiva per un atleta infortunato, rappresenta spesso una sfida. Con l’avvento del professionismo, la pressione dei media, della dirigenza, degli allenatori per una più veloce ripresa, associata alle aspettative dell’atleta, si scontra spesso con i tempi di guarigione biologica. 

Nel rugby coesistono diverse fasi del gioco che espongono gli atleti a infortuni a carico dell’articolazione del ginocchio; le più rilevanti, come già specificato precedentemente, riguardano i placcaggi, effettuati e subiti, i raggruppamenti, i cambi di direzione, i salti e le mischie (2 3 4). Di conseguenza la richiesta biomeccanica nel rugby è molto severa in termini di stabilità dinamica del ginocchio. La riabilitazione di un rugbista in seguito ad un infortunio al ginocchio richiede quindi, una conoscenza delle richieste biomeccaniche-funzionali e dei gesti sport-specifici tipici del rugby. L’obiettivo deve essere quello di permettere all’atleta di riprendere l’attività sportiva con adeguate competenze motorie che lo rendano in grado di gestire lo stress fisico a cui è sottoposto e, allo stesso tempo, essere competitivo per il rientro in squadra. 

Gli infortuni a carico del ginocchio possono prevedere lunghi periodi di assenza dai campi da gioco. Se in parte questo viene ovviamente visto come un evento negativo, racchiude però la possibilità di intervenire e risolvere problematiche derivanti da altri infortuni pre-esistenti o limitazioni funzionali di altri distretti. Il giocatore deve essere reintrodotto in squadra, soprattutto nelle attività ad alto rischio come il rugby, con tempistiche adeguate alle proprie capacità atletiche. Prima ancora, le attività a rischio, come la tecnica di placcaggio, devono essere riallenate prima in situazioni controllate (uno vs uno; giocatore riposato) e successivamente in situazioni reali (allenamento con placcaggi reali e giocatore affaticato). La stessa cosa può essere fatta per la mischia; inizialmente per la ripresa di questo gesto tecnico deve essere utilizzata la macchina da mischia (FOTO3) in situazione controllata e, solo in seguito, il giocatore può essere autorizzato a partecipare all’allenamento di mischie reali. (FOTO4)

Una delle domande più frequenti dell’atleta infortunato è: “Doc, ma quando posso rientrare in campo?”. Maggiore è il livello di gioco, maggiore è il desiderio di rientrare in campo da parte dell’atleta. Ma chi può e chi deve rispondere a questa domanda? Ovviamente la risposta è multifattoriale e dipende da fattori quali lo stato di salute, il tipo di infortunio ed i fattori di rischio per un possibile reinfortunio. Molto spesso anche nel rugby, gli interessi economici prevaricano sulla salute dell’atleta, forzando in certi casi, il rientro precoce dell’atleta all’attività di squadra sottoponendolo così a gravi rischi di reinfortunio. 

Il percorso riabilitativo del rugbysta deve essere il più possibile basato sui concetti di Evidence Based Medicine e Best Practice. Per questo motivo è necessaria una stretta collaborazione tra le figure sanitarie e non, coinvolte nel recupero dell’atleta. L’ortopedico, il fisiatra, il fisioterapista, il medico dello sport, il medico radiologo, il preparatore atletico, lo psicologo e l’allenatore devono fornire insieme un supporto costante e collaborativo per poter personalizzare il percorso riabilitativo, adattandolo alle caratteristiche fisiche dell’atleta, alle richieste della squadra ed al livello di gioco. 

Esistono quindi delle linee guida che vengono applicate sin dal giorno dopo l’infortunio dell’atleta. 

L’utilizzo di un elettromiografo di superficie biofeedback negli atleti rugbisti di alto livello, con la misurazione dei livelli di soglia, ci permette di ottenere una migliore qualità della contrazione, specialmente per il vasto mediale obliquo (VMO), consentendo all’atleta di approdare alla fase successiva della riabilitazione. Il raggiungimento di circa il 60-70 % di forza al test isocinetico ci permette di introdurre gli esercizi specifici per ruolo, con maggior potenziamento muscolare nei giocatori di mischia e migliore recupero dell’agilità per i tre quarti. Questa fase rappresenta il punto critico della riabilitazione e necessita di un monitoraggio costante da parte del preparatore e dell’ortopedico. La ripresa sportiva completa con il rientro in campo nel rugby, viene autorizzata solo quando il test isocinetico raggiunge un picco di forza di almeno il 90% dell’arto controlaterale sano allenato. Quindi una differenza del 10% tra i 2 arti è generalmente accettata, ma gli studi sono ancora scarsi per accettare definitivamente questo concetto. 

Basato sui risultati di un recente studio (53) su pazienti operati di ricostruzione di LCA, l’European Board of Sports Rehabilitation raccomanda che per gli sport con pivoting del ginocchio e contatto, l’arto infortunato debba essere uguale al 100% rispetto al controlaterale non infortunato in termini di forza flessoria ed estensoria mentre per i livelli amatoriali e ricreativi, è sufficiente il 90% rispetto al controlaterale sia per quanto riguarda la forza che per quanto riguarda i test funzionali.

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